Cosa succederebbe oggi se un bambino muore? Quante probabilità ci sarebbero di avere delle sue foto da conservare come ricordo della sua breve vita?

Prima di rabbrividire di fronte alle foto Post Mortem bisogna farsi semplicemente queste due domanda. Solo così ne si comprenderà la nascita di questa usanza che per quasi un secolo ha dominato sui funerali di tutto il mondo.

Oggi viviamo in un’era dove la fotografia non solo è accessibile a tutti, ma è anche abusata e indubbiamente sprecata. Se si conta il numero di foto che vengono scattate e quelle che invece muoiono assieme agli smartphone che le contengono, i risultati sono appunto la fotografia della situazione.

Più persone ricevono le curiosità più è alta la possibilità che le condividano.

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Dalla prima metà dell’800 ai primi anni del 900 esisteva un metodo per conservare la memoria di una persona scomparsa prima di scattare almeno una foto: le foto Post Mortem.

foto post mortem

Grazie al processo della Dagherottipia (sostituita poi negli anni dalla pellicola fotografica) si poteva ottenere uno scatto fotografico su lastre delicatissime e molto difficili da sviluppare. Quando si scattava una foto i soggetti erano obbligati a restare in posa per lungo tempo, la qualità dello scatto e i dettagli poi ne avrebbero risentito attraverso la creazione di sfumature, le classiche foto mosse.

Nel momento in cui moriva qualcuno si voleva mantenere un ricordo prima della sepoltura, così le persone cominciarono a scattare foto ai morti.

foto post mortem

Il fotografo era chiamato in casa e invitato a immortalare il defunto. Per farlo bisognava prima preparare il morto così che sembrasse quasi vivo. Ci si aiutava con trucco pesante e realizzato in maniera da dare colore al viso, guance comprese.

Nella maggior parte dei casi erano bambini quelli ad esser ritratti. Una volta preparato il cadavere con il trucco si valutava se realizzare lo scatto a occhi chiusi o aperti, sempre se la condizione degli occhi concedeva tale scelta. In alcuni casi si “disegnavano gli occhi” sulle palpebre, così da risolvere il problema a monte.

foto post mortem
Grazie al trucco, la bambina a sinistra sembra quasi viva. Impressionante.

Per mantenere i cadaveri in posa si usava inoltre fissarli a dei bastoni messi in punti strategici, come dietro la schiena ad esempio o lungo un braccio.

foto post mortem
L’uomo è stato sistemato in modo da sembrare normalmente seduto. La testa rimane in piedi grazie a un supporto posteriore che, ovviamente, non veniva in foto.

Le foto venivano realizzate in due modi sostanzialmente: con o senza famiglia. Non si sorrideva, non ci si preparava come oggi ad alcuna situazione, lo si faceva solo per mantenere un ricordo proprio nel momento in cui il lutto più confonde la mente.

Realizzare una foto a quei tempi era un costo proibitivo per molte famiglie. La conservazione dell’aspetto del defunto prima delle foto post mortem era affidata a un pittore. Immaginate cosa poteva significare per una famiglia poco abbiente commissionare un quadro simile? Una follia.

foto post mortem
Questa è una delle foto post mortem più conosciuta. Notate come la ragazza al centro sia perfettamente a fuoco mentre i genitori no. La lunga esposizione raccontava chi nella foto si muoveva.

Con l’entrata in campo commerciale dei primi rullini fotografici e delle prime lastre a basso costo, la fotografia diventava sempre di più alla portata di tutti, cancellando per sempre il fenomeno delle foto Post Mortem che oggi si può ancora ammirare (se si ha il giusto occhio per notarlo) in molti cimiteri, ovviamente nei settori aventi lapidi dal 1950 in giù.

Fonte: Wikipedia