Di ritorno dalla messa mattutina delle 10.30, perché anche chi come me non crede alla chiesa si concede di ascoltarla, poiché l’ascolto è sempre crescita a prescindere dal fatto se si abbraccia o meno il messaggio, un pensiero ha cominciato a viaggiare tra le mie sinapsi, un pensiero di quelli che si liberano solo attraverso la scrittura. Quindi scrivo.

Mentre ero seduto tra le panchine di una mite chiesa di Collepasso, sono rimasto folgorato da un sorriso, quello di Daniele, un ragazzo felicissimo di esser lì, tra la sua comunità, abbracciato dal tepore della “famiglia” cristiana, che altro poi non è che una delle tante comunità che si creano sotto il nome della fede in qualcosa.

La fede è sempre l’espressione massima della serenità. La fede è la ricchezza dello spirito, qualcosa che non ha bisogno di voce per esser professata, ne di materia per esser tastata. La fede è il sentirsi liberi dal resto, ovunque essa sia indirizzata, che sia una religione, l’amore per un animale o la convinzione che le parole possano cambiare il mondo. La fede è la ricchezza che nessuno può donarti e nessuno, altrettanto, può privarti.

Mi sono emozionato a vedere la felicità di Daniele e proprio in quel momento ho pensato a quante persone nel mondo, emarginate da una società sempre in perenne gara, sempre più coperta da un manto di efficenza che si misura sui numeri e risultati, sono felici nel momento della messa. Felici perché consapevoli che in quel momento si parla un linguaggio universale, fatto di emozioni, che possono esser si condivise con le parole, ma solo in una piccola parte. Le emozioni e la fede sono quanto più di etereo c’è.

Nel veder Daniele ho pensato che in fondo tutti i discorsi sulla chiesa, sugli errori e le incongruenze che spesso la riguardano, cadono come come un muro senza cemento, fatto di sole pietre. Come la chiesa, così il calcio, o qualsiasi altra passione o indirizzo alla quale dedicare la propria fede.

Siamo sempre più portati a giudicare chi professa un messaggio, pretendendo sia la rappresentazione del messaggio stesso. Ma in fondo cosa vuol dire? Chi può sentirsi lindo nei confronti del mondo e del proprio vissuto? Nessuno, credo.

Se ogni persona che professa un messaggio dovesse seguirlo alla lettera allora una prostituta non potrebbe parlare d’amore, un carcerato di libertà e così scorrendo. Eppure c’è chi parla e lancia dei messaggi, che sono in fondo la cosa più importante, il messaggio, non chi lo pronuncia. Siamo un po tutti fottuti quando ci confrontiamo con la coscienza, siamo liberi quando ce ne rendiamo conto e allo stesso prendiamo in mano l’umiltà di raccontarci come umani capaci di errori, non come Dei incapaci di sbagliare.

La felicità di uno vale il rispetto di tutti.

Ho criticato la chiesa per anni, riempiendola di bestemmie versate con leggerezza, ed una messa mi ha fatto capire che se tutta quella bolgia di ciò che prima chiamavo ipocrisia, serve a regalare un sorriso a Daniele e donargli forse uno dei momenti più belli della settimana, allora quella messa è utile e va rispettata. Pensa un pò, dopo una vita passata a criticare e serbare rabbia nella convinzione di non essere compreso nel trasmettere il mio pungente messaggio, un sorriso mi ha cambiato. Un sorriso, quello di Daniele in questo caso, che non si limita però a lui. Il sorriso di tutti coloro che nel loro credo trovano la felicità, senza condannare nessuno o additare il prossimo, inumiditi dai piedi immersi in quel fango chiamato solitudine spirituale misto a paura.

Basta criticare chi crede. Che sia nella chiesa o in una partita di calcio, ogni cosa che dona serenità e rende liberi di esprimerla senza additare il prossimo, va rispettata.

Criticare chi crede in qualcosa, in fondo, è un gesto anch’esso positivo, perché sintomo di una malattia dell’animo da non trascurare, la solitudine. Solo quando ti rendi conto di esser malato puoi cominciare a curarti.

Con questo non voglio dire che da oggi sarò un assiduo frequentatore di messe, partite di calcio, saggi di danza o altro, con questo invece voglio dire che il pensiero che qualcuno sia felice con la propria fede mi ha liberato dalla solitudine.

Oggi ho avuto la prova materiale di non esser solo, perché come me molti sono felici e labili d’emozione da lacrime quando riconoscono che

avere fede in qualcosa è il fischio d’inizio di una partita con se stessi, non il risultato.

Seguite ciò che vi rende sereni davvero, in qualunque direzione vi porti. Ripagate chi vi critica con il sorriso di chi non si sente più in alto della critica, ma di chi è felice di esser ancora in gara, curioso del risultato che verrà e felice di non esser ancora arrivato alla sua conclusione.

Grazie Daniele per il tuo sorriso, valso più di questa cascata di parole.

In fondo, se ridiamo e parliamo sempre attraverso la bocca, un motivo ci sarà no?